Riportiamo qui la seconda parte della lunga chiacchierata con la Dottoressa Chiara Marra, ginecologa specializzata in patologie benigne. La prima parte ha riguardato l’approccio multidisciplinare alla cura della vulvodinia e la confusione in cui spesso si trova la donna vulvodinica a causa della difficoltà di condensare molteplici consulti in un’unica terapia coerente.
Nella seconda parte dell’articolo si affronta un’altra tematica che causa spesso confusione: il rapporto tra vulvodinia e farmaci.
Quali farmaci sono controindicati in caso di vulvodinia? Esiste un legame tra l’insorgenza della vulvodinia e l’assunzione di alcuni farmaci?
E ancora, si può fare a meno dei farmaci nel percorso di cura?
(Domanda): Spesso può capitare di soffrire di infezioni e/o infiammazioni. In queste situazioni le donne che soffrono di vulvodinia sono timorose verso l’assunzione di antibiotici o antimicotici poiché la loro esperienza personale suggerisce che ci possa essere un rapporto di causa-effetto tra vulvodinia e tali farmaci, ma è davvero così?
E come rassicurare la donna che si trova a dover assumere questi farmaci per curare altri problemi?
(Risposta della Dottoressa Marra): Io credo che ci sia un terreno predisponente su cui poi si inseriscono episodi che portano a sviluppare la vulvodinia. Prendiamo il caso di una donna in salute che non ha problemi intestinali o di postura, che vive un momento di vita tranquillo, etc etc… se casualmente questa donna ha una cistite, è altamente probabile che quest’episodio non le porterà altre conseguenze: cura la cistite e torna tutto tranquillo. Ma se questa donna presenta invece un terreno predisponente alla vulvodinia, una cistite può essere la classica goccia che fa traboccare il vaso!
La risposta alla domanda sul se ci sia un rapporto causa-effetto, quindi, è “nì”.
Gli antibiotici e gli antimicotici possono avere effetti collaterali, come tutti i farmaci, e in una persona che presenta già, ad esempio, una disbiosi intestinale o problemi di candida recidivante potrebbero peggiorare una condizione già di per sé non equilibrata e questo potrebbe avere ripercussioni sulla vulvodinia.
Però ogni situazione va valutata come caso a sé, perché può essere rischioso in alcuni casi trascurare o non curare un’infezione in corso: se l’antibiotico o l’antimicotico sono necessari per combattere un’infezione in corso (es. una polmonite, una cistite batterica, etc) è bene prenderli quando consigliati da uno specialista.
Ovviamente, è compito dello specialista scegliere quale antibiotico/antimicotico è meno dannoso e con quali cautele assumerlo, perché si possono prendere delle precauzioni per scongiurare gli effetti indesiderati, ad esempio assumere dei probiotici o applicare acido borico localmente per prevenire eventuali problematiche relative a candida.
C’è un modo per prevenire le continue infezioni ed evitare che possano esacerbare i sintomi della vulvodinia?
L’ideale sarebbe vivere secondo il proprio ritmo e le proprie volontà più profonde. Non viviamo però in un mondo ideale! Quello che possiamo fare è imparare il più possibile a prenderci cura di noi e ad ascoltare il nostro corpo e la nostra mente.
Sicuramente è utile curare il transito intestinale mangiando sano, attraverso una dieta oppure con delle buone regole: bere molta acqua, masticare il cibo con calma, ritagliarsi momenti tranquilli per i tre pasti principali della giornata.
Con queste piccole abitudini possiamo fare già tanto per la cura del nostro intestino e per evitare un’eventuale alterazione della flora batterica che talvolta porta ad infezioni ricorrenti e infiammazioni.
Spesso non è la candida ricorrente a scatenare la vulvodinia ma è quello che c’è sotto, ad esempio una disbiosi intestinale (che causa la candida, che a sua volta esacerba la vulvodinia).
Quindi è importante prendersi cura di sé in generale.
Ci sono anche degli eventi su cui non si ha purtroppo controllo nella vita, come i traumi, gli abusi, le cadute oppure la presenza di comorbilità infiammatorie come l’endometriosi.
Un altro aspetto importante è la regolazione del nostro sistema immunitario: ci sono alcune forme sia di vulvodinia che di cistite interstiziale legate all’atopia (ovvero a una causa allergica). Le donne che hanno delle allergie sia a inalanti che a cibi oppure a coloranti, conservanti e metalli presentano una liberazione di istamina superiore alla norma, con conseguente infiammazione delle mucose. Trattando queste donne con gli antistaminici si presenta un miglioramento della sintomatologia.
Per l’atopia abbiamo più esperienza sulla cistite interstiziale perché ci sono studi che confermano che gli antistaminici funzionano bene in una buona percentuale di donne che ne soffrono, e funzionano meglio per quelle persone che soffrono di allergie.
Il motivo per cui funzionano bene anche in donne che non presentano allergie, invece, è la degranulazione dei mastociti, uno dei passaggi con cui si instaura l’infiammazione. Durante la degranulazione viene rilasciata una certa quantità di istamina che può essere tenuta sotto controllo attraverso l’assunzione di antistaminico.
Chiaramente questo è un approccio sintomatico: non sto curando la causa ma il sintomo. Può diventare curativo per quelle donne in cui il sintomo deriva da un terreno atopico, ma dev’essere sempre e comunque lo specialista a consigliare questo approccio in seguito a una valutazione generale e attenta del caso specifico.
Le donne vulvodiniche hanno molta diffidenza anche nei confronti degli anticoncezionali ormonali. Alcune riferiscono che i sintomi della vulvodinia siano iniziati proprio in seguito all’assunzione della pillola anticoncezionale. Altre invece assumono contraccettivi ormonali senza aver mai notato effetti peggiorativi, altre ancora sono costrette ad assumerli per tenere sotto controllo altre patologie.
Questa diffidenza diffusa nei confronti della contraccezione è fondata?
In generale penso che sia meglio evitare la pillola estroprogestinica nelle donne con vulvodinia perché l’estroprogestinico porta a una situazione di ipo-estrogenizzazione a livello delle mucose; quindi le donne, con e senza vulvodinia, possono manifestare maggiore secchezza.
Per una donna che già ha delle mucose infiammate o assottigliate utilizzare l’estroprogestinico non è il massimo.
Inizialmente si riteneva che la pillola non avesse effetti sulla vulvodinia ma poi le evidenze scientifiche ci hanno rivelato una realtà diversa. È pur vero che ci sono donne che presentano altre comorbilità le quali richiedono un trattamento ormonale; in questo caso, se è possibile, è meglio usare il solo progestinico a basso dosaggio che lascia comunque una minima produzione di estrogeni naturale e spontanea nella donna e dà meno effetti collaterali.
Ci potrebbe spiegare più in dettaglio in che modo la diversa composizione dei contraccettivi ormonali influisce o meno sulla vulvodinia?
I due ormoni principali che regolano il ciclo mestruale sono gli estrogeni e il progesterone, gli stessi utilizzati nella contraccezione ormonale.
La pillola, l’anello vaginale e il cerotto li contengono entrambi; si va così ad inibire la produzione di ormoni da parte delle ovaie, e questo fa sì che a livello locale, delle mucose vulvari e vaginali, ci sia una minore disponibilità di questi ormoni. Per le vulvodiniche una minore disponibilità di estrogeni a livello delle mucose può essere pericolosa perché è proprio grazie agli estrogeni che avviene la lubrificazione e il trofismo delle mucose (quanto le mucose siano spesse, resistenti, nutrite).
Una carenza di estrogeni comporta delle mucose più fragili, predisposte a infiammazioni e lacerazioni. E se è pur vero che negli anticoncezionali estroprogestinici ci sia comunque una certa quantità di estrogeno, esso è in quantità insufficiente rispetto a quella che si produrrebbe in maniera spontanea; è quindi preferibile lasciare che sia il corpo a continuare a produrre gli estrogeni necessari. Chiaramente, non tutte le donne vulvodiniche reagiscono alla stessa maniera: ci sono donne a cui l’assumere o meno anticoncezionali estroprogestenici non muta i sintomi della vulvodinia.
Ci sono donne che invece hanno associato proprio alla pillola la comparsa dei primi sintomi di vulvodinia, ma qui ci colleghiamo al discorso precedente: la pillola è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, perché già presente un terreno predisponente. La pillola ha solo portato la malattia a galla: magari avere le mucose meno lubrificate perché poco estrogenizzate ha avuto come conseguenza rapporti dolorosi e quindi un’infiammazione che si è infine cronicizzata.
Anche per la contraccezione ormonale, quindi, non c’è un’unica regola.
Personalmente a una donna vulvodinica consiglierei la pillola progestinica (se presente anche endometriosi) oppure la spirale come metodo contraccettivo. Quest’ultima permette un’azione esclusivamente locale, all’interno dell’utero, in cui crea un ambiente ostile al concepimento senza bloccare il lavoro delle ovaie. Esistono due tipi di spirale, quella in rame che non rilascia ormoni e quella in plastica medicata che contiene un tipo di progestinico che non va a interessare le ovaie perché la dose immessa in circolo è bassissima, e non ha alcun effetto collaterale sulle mucose.
Riguardo al bastoncino sottocutaneo?
Anche il bastoncino sottocutaneo non lo consiglierei di default alle donne vulvodiniche perché va a inibire completamente le ovaie e ci riporta agli stessi problemi già citati.
In ultimo, è possibile guarire senza farmaci? Se sì, in che modo si riesce a curare la neuropatia senza l’uso di farmaci specifici?
In quali casi invece l’approccio farmacologico è necessario?
In generale, sì, direi che in tante situazioni si può guarire anche senza farmaci (e in alcuni casi si è costrette a farlo perché la paziente non li tollera, ad esempio, oppure semplicemente non li vuole assumere).
Anche in questo caso, ogni situazione richiede una valutazione a sé: andrebbe valutata l’origine della neuropatia e capire se si possono mettere in atto tutta una serie di strategie per andare a lavorare il più possibile sulle cause dell’infiammazione attraverso altri approcci, ad esempio con l’uso di integratori, farmaci fitoterapici, agopuntura, antistaminici etc etc..
Ovviamente dipende dalle problematiche che ci sono alla base e dalla gravità della situazione, ma anche dai tempi che una persona si vuole dare per guarire.
Quindi, in generale, la mia risposta è sì, ma ogni caso va valutato a sé, in base alla complessità della situazione.
Per i casi in cui la cura farmacologica è necessaria, vorrebbe lasciare un messaggio rincuorante per le donne riguardo all’uso innocuo di determinate classi di farmaci per questa patologia?
In genere i farmaci vengono prescritti partendo da basse dosi per poi salire gradualmente e questo rappresenta la prima accortezza per minimizzare gli effetti collaterali. Questi ultimi, inoltre, vanno scemando con il progredire dei giorni e delle settimane; non bisogna quindi abbandonare la terapia ma tener duro e andare oltre i primi tempi di assunzione. Inoltre, in base alla risposta individuale, ci si può fermare a bassi dosaggi di farmaci e magari associare più farmaci a questi dosaggi minimi anziché utilizzarne solo uno ad alto dosaggio (sempre nell’ottica di ridurre gli eventuali effetti collaterali). In ogni caso, i farmaci vengono prescritti da medici esperti che possono modulare la terapia strada facendo, attraverso un continuo dialogo tra medico e paziente.
Si conclude qui l’intervista con la Dott.ssa Chiara Marra, e non ci resta che ringraziarla di cuore per il tempo che ci ha dedicato e per la dedizione e l’empatia che visibilmente mette nel suo lavoro quotidiano.
Leggi la prima parte dell’intervista: Approccio multidisciplinare nella cura alla vulvodinia